Mi chiamo Monica, ho 26 anni e sono un’insegnante elementare. Insieme alla mia compagna di viaggio Emmy siamo state ospitate dalla Casa Famiglia delle Suore della Provvidenza di Oudtshoorn in Sud Africa.
Concretamente abbiamo badato a cinque bambini dai 7 mesi ai 3 anni e ad una ragazzina di 9 anni, ragazzina perchè a vederla non si direbbe abbia solo 9 anni. Ci siamo svegliate per due settimane con il pianto di qualche bimbo e siamo andate a dormire con lo stesso suono, li abbiamo cambiati, lavati e nutriti.. abbiamo giocato e abbiamo passato il tempo a scrutare queste piccole creature, immaginando quale possa esser stato il loro passato e sperando per un futuro speciale e privo di sofferenze per ognuna di loro. Ci siamo prese cura di loro come meglio potevamo.. con tutto il cuore. Sono bimbi che anche se hanno vissuto così poco, negli occhi hanno già storie tristi da dimenticare. Sono stati tolti dagli assistenti sociali alle famiglie d’origine, oppure qualche famiglia si è dimenticata letteralmente di loro.
Come spiegare tutto questo? Non saprei.. non c’è una spiegazione, i fattori sono molteplici. Situazioni simili sono presenti in tutto il mondo ma è bene sapere qual è la storia del Sud Africa per cercare almeno di capire la gente del Sud Africa.
In breve (molto ma molto in breve) il Sud Africa era un territorio dei “neri”, ma poi fu conquistato dagli olandesi che cercavano la loro terra promessa, poi arrivarono gli inglesi. Le risorse naturali sono enormi e così tale territorio, come tanti altri, ha un passato di guerre. Negli anni ’50 fu definitivamente segnato dall’apartheid, che portò a destinare le zone delle città a seconda del colore della pelle delle persone: ai “bianchi” le parti migliori, ai “neri” e ai “mulatti” le periferie.
Per quanto ci sia una voglia di rinascita, di lasciarsi il passato alle spalle, ancora adesso ci si trova davanti ad una divisione e non ad un’integrazione. Il centro della città ricorda le città europee ed è territorio dei “bianchi”. In periferia ci sono le township, città formate da case grandi come una stanza o da baracche di lamiere, dove gli abitanti di ogni casa sono molti, troppi. Le famiglie non sono quelle canoniche, sono formate dalla mamma e da dei parenti della mamma. Diverse sono le storie di promiscuità e abusi.
I popoli “neri”, originari del luogo, sono molto legati al proprio territorio, continuano a parlare le lingue proprie e hanno una loro storia, mentre i “mulatti” sono i “figli di nessuno”, parlano l’afrikaans che è la lingua dei “bianchi”, dei conquistatori, simile all’olandese. Ora che si inizia a pensare di agevolare la popolazione “nera”, così repressa in passato, non si prende in considerazione i “mulatti” (né abbastanza “bianchi” né abbastanza “neri”). Non è difficile comprendere come le piaghe del Sud Africa siano l’aids e l’alcol, che non conoscono né sesso né età. Una realtà difficile.
Il villaggio delle Suore della Provvidenza si trova nel quartiere dei “mulatti”. All’interno c’è la Casa Famiglia, dove abbiamo abitato insieme ai bimbi. Oltre a prenderci cura di loro, andavamo alla Casa Betania, dove alle mamme viene insegnato ad occuparsi dei loro bambini, soprattutto di quelli meno nutriti. Così abbiamo trascorso il tempo anche con altri bimbi. Il livello di igiene è chiaramente diverso, ma questo non vuol dire che le mamme non si prendono cura dei loro bimbi. Certo devono combattere giornalmente con una storia che è stata crudele e non ha dato niente ai “mulatti” e con la tentazione di dimenticare il mondo bevendo.
Non ho saputo interagire con queste mamme, ma una mi rimarrà nel cuore. Emmy è un’artista e ha disegnato un murales in Casa Betania e molte mamme l’hanno dipinto; una in particolare si è appassionata e si assentava solo per andare a lavorare o per andare all’ospedale; il resto dei giorni era sempre presente e dipingeva senza mai dimenticare di dare un’occhiata al suo piccolo.
Ho raccontato questo per ricordare a tutti che è facile giudicare e molto più difficile comprendere.
Ora un elogio particolare a tutte le suore che si occupano di questa realtà, soprattutto a Suor Tereza che provvede ai bisogni di tutti i bimbi della Casa Famiglia.. più volte le ho detto che io al suo posto non ce la farei, sebbene io lavori con i bambini ogni giorno!
Personalmente non so dire come sono cambiata con questa esperienza, il mio mondo interno è in gran tumulto. Questa parte di Terra che è apparsa davanti ai miei occhi ha provocato molte emozioni, ma anche una certa chiusura, quasi insensibilità per non soffrire e ora man mano si rivela. La cosa più importante per me è l’avere aperto gli occhi su una realtà che c’è sempre stata ma che non avevo il coraggio di guardare.
Monica
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