Ricordo perfettamente i giorni del nostro arrivo in terra boliviana... cariche di entusiasmo e buoni propositi, volenterose di conoscere e confrontarsi con una realtà totalmente diversa dalla nostra, realtà che per essere compresa appieno richiede uno sforzo non indifferente: “svestirsi” di ogni pregiudizio, abbandonare ogni parametro basato sulle “certezze da occidentale”.
Non possiamo negare che all'arrivo le prime sensazioni sono state di disordine e smarrimento... incertezza su quello che la giornata ci avrebbe potuto riservare. Impressioni che abbiamo potuto verificare in prima persona fin dal giorno seguente al nostro arrivo, quando ci siamo recate a Santa Cruz con Sr. Agueda per portare il piccolo P. (bimbo gravemente malato di cuore) ad una visita in ospedale. Siamo partite alle otto del mattino ma subito dopo il nostro passaggio sul Ponte dell'Amicizia un imperturbabile “bloqueo” ha fermato il passaggio per l'intera giornata impedendoci il ritorno al Centro del Bambino Denutrito. Solamente verso le sette e mezza della sera un barlume di pietà da parte dei manifestanti ha permesso a una decina di auto (tra le quali la nostra) di percorrere velocemente il ponte, consentendoci così, dopo quasi dodici ore, di fare ritorno al Centro.
Questa dopotutto è la Bolivia, paese assai lontano dal nostro mondo, terra che non fatica a mostrarci subito qual è “l'altra prospettiva”, quella di chi è costretto a lavorare duramente per un piatto di riso, quella di chi deve ogni giorno affrontare problemi che noi non ci siamo mai poste. Ci è bastato osservare gli sguardi dei piccoli ospiti del Centro del Bambino Denutrito per comprendere quanto presto “l'altra prospettiva” inizi a far parte della vita di queste indifese creature...sguardi da adulto, sguardi di chi si è già posto troppe domande. Ci viene subito in mente la piccola D., due anni e dieci mesi, che con la testa bassa ci osserva cercando quasi di non farsi vedere, come se le troppe attenzioni le creassero un disagio... indescrivibile il calore al cuore nel momento in cui siamo riuscite a strapparle un sorriso. C'è poi S. che, nonostante la vita finora sia stata ingenerosa con lei, contagia tutti con la sua positività... Non è servito riflettere molto per iniziare a fare le prime associazioni con la struttura in cui lavoriamo. In Italia magari i bambini non vengono allontanati spesso dalle loro famiglie per problemi di denutrizione, si tratta di deprivazioni diverse, più attinenti alla sfera affettiva ed emotiva. Si tratta comunque di storie di infanzie simili, infanzie negate e/o invisibili spesso storie di famiglie inesistenti, di bambini alla ricerca di un po' di amore e di attenzioni e di genitori privi degli strumenti per donarglieli. Bambini con una caratteristica unica: occhi pregni di dolore ma una forza nello spirito che li rende eccezionali e impareggiabili.
Vorremmo nominare tutti i piccoli che abbiamo conosciuto a San Carlos, da S. a L., da J. a MR., da N. a D., ecc. ecc. perché ognuno di loro con le loro mani, i loro abbracci, i loro sorrisi e le loro lacrime hanno contribuito ad accrescere la profondità e l'intensità della nostra esperienza. Così come il breve ma intenso “passaggio” per Cochabamba, attraversando il magnifico paesaggio con le folte e “fruttuose” coltivazioni di coca, ci ha permesso un contatto diretto con le reali situazioni di disagio e povertà: strade sterrate, case diroccate accatastate sulle alture, numerosi nuclei familiari che condividono abitazioni da 2/3 metri quadrati con cucine improvvisate all'aperto e un'unica stanza in cui trascorrere il giorno e la notte. Persone che nel loro “niente” non rinunciano ad una bottiglia di Coca Cola, al televisore e al telefono cellulare… paradossale controsenso.
Potremmo scrivere pagine e pagine per raccontare gli stati d'animo e le straordinarie emozioni regalateci da questa importante avventura ma la verità è che l’unico modo per capirla è viverla in prima persona”.
(Valentina e Marta)
Commenti offerti da CComment