Prima di partire avevo qualche dubbio sul fare un viaggio così lungo da solo, ma è stata una gioia scoprire la compagnia di un'umanità sempre presente.
Prima una simpatica famiglia dello Utah mi ha reso piacevole il volo aereo di andata, parlando delle loro vacanze in Italia e della imminente esperienza boliviana che mi aspettava. Poi ho suscitato curiosità in una timida signora giapponese, che ha un figlio della mia età che studia negli Stati Uniti, la quale mi ha chiesto il perché del mio viaggio (perché? …), mettendomi in seria difficoltà.
Atterrato in Bolivia all'aeroporto di La Paz, un po' stordito dal viaggio, mi sembrava di essere arrivato sulla luna. Tutti camminavano a passi lenti e dopo poco avevo capito il perché. L'aria fredda e rarefatta si faceva desiderare, mentre la pressione sanguigna provava ad abituarsi. Allora con un poco di mal di testa mi dirigo a prendere (finalmente) l'ultimo aereo per raggiungere la città di Cochabamba. Ecco che nell'attesa conosco una suora di Maria Ausiliatrice che mi accoglie nel Paese e mi chiede cosa ci faccio lì... Al momento di salire sull'aereo si avvicina una signora interessata alla mia esperienza. mi ha accompagnato fino all'arrivo.
Insomma, tra interrogativi e incontri sono stato preso per mano per tutto il viaggio, finché sono arrivato tra le braccia delle Suore della Provvidenza.
Cochabamba
La prima settimana, grazie all'aiuto delle sorelle che mi hanno accolto, provo ad integrarmi. E l'occasione migliore è la festa di San Marco, patrono della cappella. Do una mano a hermana Olga a preparare gli abbondanti addobbi. Così conosco i giovani della comunità e inizio a muovere i primi difficili passi con la nuova lingua, lo spagnolo. In questo modo conosco anche il folklore e le tradizioni di queste popolazioni (la Bolivia è uno Stato plurinazionale che raccoglie molte culture).
Chivimarca
La seconda settimana le sorelle mi invitano nella loro missione di Chivimarca, un piccolo villaggio isolato sulle Ande.
La strada per arrivare è impervia, ma meravigliosa. Così godo di paesaggi mozzafiato tra la geologia che varia in continuazione e minuscoli fazzoletti di terra coltivati in luoghi inimmaginabili. Pensare che tutta questa meraviglia sia donata gratuitamente all'uomo ti fa sentire toccato da un amore immenso.
Purtroppo oggi a popolare questi paesini, insediati in luoghi difficili e stupendi, sono sempre meno persone. Molti, attratti dalle città, lasciano le dure montagne, per cercare una vita migliore. La cosa più difficile da sopportare è l'isolamento. Quando piove la strada non si può percorrere, i piccoli sentieri diventano pericolosi, anche per gli scalatori più esperti. In queste condizioni non si riesce a pensare a prospettive di sviluppo e soprattutto i giovani, che sono i più ambiziosi, non vedono un futuro sotto il cielo immensamente stellato che ogni notte si ripropone.
Ma un giorno i Salesiani hanno deciso di aprire una missione, chiamando a collaborare le Suore della Provvidenza. Così questi luoghi sono rimasti dimenticati dagli uomini, ma non da Dio. Oggi ci sono tante piccole comunità accompagnate dai Padri Salesiani e dalle sorelle, oltre la scuola e l'internato che garantiscono l'istruzione dei ragazzi fino all'età adulta.
Santa Cruz e El Alto
Dopo una gita a Santa Cruz, dove le sorelle hanno un centro di riabilitazione per i bambini denutriti, parto in compagnia di hermana Sabina e il signor Prudenzio (laico della Provvidenza) verso El Alto. Una città di circa 900.000 abitanti, che nasce sull'Altipiano come periferia della capitale La Paz.
Per un mese e mezzo vivo il quartiere di "Alto Lima", dove le Suore della Provvidenza gestiscono un centro di appoggio scolare per bambini e giovani.
Tutti i ragazzi hanno una storia e si portano dietro il peso di problematiche familiari o sociali con cui sono costretti a convivere. Le sorelle, accompagnandoli con amore nell'età degli studi, cercano di spezzare le catene della rassegnazione e dell'esclusione a cui spesso i ragazzi sono legati. È meraviglioso godere della libertà di un abbraccio affettuoso o della distruzione dei muri sociali operata da un semplice gesto di solidarietà.
Qui, in questo scenario, ho avuto la grazia (non so in che altro modo chiamarla, dato che mi viene ancora da ringraziare) di vivere la quotidianità di queste persone a partire dalla famiglia della Provvidenza e la comunità parrocchiale, per poi essere vicino al servizio degli educatori e delle tante persone che impiegano il loro tempo al fianco dei ragazzi. Sono stato inoltre accolto dal gruppo dei giovani e da tanti amici che mi hanno accompagnato. Ho ricevuto davvero tanto e tutto racchiuso in piccoli gesti, come quando, giunto il momento della mia "despedida", una bambina mi regala un mandarino (la sua merenda) per il viaggio.
Abbiamo condiviso tanto a lungo questi brevi, ma intensi giorni. Mi piace pensare di aver percorso insieme un pezzettino di strada della vita.
Sono tante le cose da raccontare. Troppe per questo scritto. Ma una cosa ci tengo a scrivere: quando dovevo tornare, mi sentivo strano. Perché lì dove ero mi sentivo a casa.
Questo tipo di esperienze ti fanno vivere lo splendido realismo cristiano della Chiesa, che oggi è come rituffarsi nella realtà, dopo la sbornia ideologica che subiamo quotidianamente. È ritrovarsi. È come salire in alta montagna e vivere la natura con tutte le sue asprezze, ma con tutta la sua vera bellezza. È come sciacquare la bocca con acqua fresca, liberandola dallo stucchevole gusto del dolcificante.
Tommaso D’Angelo
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